L'importanza della voce nello storytelling
Attore e speaker: l’importanza della voce e la forza del raccontare storie secondo Gustavo La Volpe.
Attore-cantante, Speaker, Doppiatore, Regista, Insegnante di recitazione: Gustavo La Volpe è sicuramente un personaggio eclettico che, grazie alla sua formazione, può spaziare con disinvoltura da un linguaggio e da un contesto all’altro.
Proprio per questa sua caratteristica ci fa molto piacere averlo tra i nostri speaker, tra le voci degli audiolibri che produciamo per diverse case editrici e vengono messi a disposizione degli utenti su varie piattaforme tra cui Audible.
Gustavo, in particolare, è stato scelto come la voce dei libri di Luciano De Crescenzo pubblicati da Mondadori. Suo concittadino e suo grande ammiratore, Gustavo ci racconta della sua gioia nel prestare la voce a questo grande personaggio: “Amo Luciano De Crescenzo, quando ero ragazzo e studiavo ancora ingegneria facendo teatro nel tempo libero, lui giganteggiava. in tv in programmi come Indietro Tutta. Quando mi hanno comunicato che avevano scelto la mia voce per leggere i suoi libri sulla storia della filosofia ne sono stato davvero felice”.
Avendolo nei nostri studi non potevamo farci scappare l’occasione di sederci a parlare con Gustavo della sua carriera e di cos’è che, oggi, caratterizza un buon racconto di una storia, una recitazione ben fatta, una parte ben interpretata.
Gustavo, come ti sei avvicinato al teatro?
In realtà io studiavo ingegneria civile all’Università di Napoli e ho iniziato a recitare per divertimento. Ben presto, però, ho capito che non ne potevo fare a meno.
Inizialmente pensavo di diventare ingegnere e fare l’artista per passione, ma poi mi sono reso conto che io non facevo l’artista, io ero già un artista.
Il teatro l’ho vissuto a pieno, mi ha preso a livello mentale: raccontare delle storie, esplorare la verità dei rapporti, approfondire lo studio dei personaggi per me sono cose irrinunciabili; non saprei vivere senza teatro.
Ho studiato al Teatro Bellini di Napoli con Tato Russo e Renato Carpentieri. Facevamo teatro come si faceva una volta, con passione e fatica: eravamo sempre lì a fare prove e spettacoli, passavamo mesi in tournée lontano da casa.
Il teatro non è un mestiere che ti fa arricchire, nel migliore dei casi porti il pane a tavola, si fa per passione. Il mio percorso mi ha portato a sacrificare tanto della mia vita, ma mi ha dato in cambio qualcosa di eccezionale.
Oltre al teatro, però, hai fatto molte altre cose...
Sì, innanzitutto ho studiato canto: mi hanno detto da sempre che avevo una voce potente, a 30 anni andai a prendere lezioni di canto a Roma, per fare qualche ora di lezione facevo avanti e indietro da Napoli col treno, non potevo permettermi di trasferirmi o di fermarmi e quindi quello era l’unico modo.
Mi è servito molto, ho imparato a gestire la mia voce e, per quello, poi ho fatto anche lavori nel doppiaggio e da speaker.
Quello che mi ha dato più popolarità, però, sono i lavori in tv, ho recitato ne La Squadra, Un Posto al Sole, Centovetrine, Gomorra. Ho fatto anche vari cortometraggi e film. Nel 2014 ho vinto un premio come miglior attore protagonista al Los Angeles Web festival, per la web serie Crisi Criminale.
Mi piace spaziare e fare cose diverse, sono convinto che non esistano piccole parti.
Vivendo il teatro a 360 gradi e avendo voglia di sperimentare non potevo farmi mancare la scrittura e la regia. Come regista ho fatto, ad esempio, il Re Lear, rappresentato al San Babila.
L'importanza della voce nello storytelling
A proposito di voce, quanto è importante per raccontare una storia?
La voce non tradisce, perché è l’espressione sia del cuore che della mente. Esistono mille toni per esprimere un concetto, un pensiero, e altrettante intenzioni.
La voce esprime i sentimenti, le emozioni, delinea i personaggi, è uno strumento potentissimo.
Come sei diventato la voce dei libri di Luciano De Crescenzo pubblicati da Mondadori?
Quando mi hanno parlato della possibilità di essere la voce dei libri di Luciano De Crescenzo sono stato felicissimo. Story Farm mi ha dato questa possibilità, mi hanno cercato per propormi questa opportunità e ho accettato di buon grado perché mi piaceva l’idea di leggere gli scritti di De Crescenzo che ha una capacità incredibile di spiegare cose complesse come la filosofia in modo semplice e immediato, grazie a lui la filosofia diventa una cosa quotidiana.
Inoltre siamo entrambi napoletani, quindi abbiamo una cultura comune. Napoli è una città che può darti tanto ma anche metterti in difficoltà, è una città che è stata sempre avara con i suoi artisti ma io sono profondamente grato del mio DNA artistico napoletano.
Napoli è la tua città di nascita, ma Milano è la tua città di adozione...
Sì, per seguire il cuore, mi sono trasferito da Napoli a Milano e anche a questa città sono molto grato per le opportunità che mi ha dato.
Il mio spettacolo su Eduardo de Filippo, EduardiAmo, ad esempio, ha debuttato a Milano. Questa città è sicuramente molto più meritocratica.
Attore, voce, regista, autore, la tua esperienza è molto vasta, hai vissuto il teatro da molti punti di vista: ma oggi vale ancora la pena parlare di teatro?
Il teatro non finirà mai
e sai perché? Perché la sua forza è la verità. Il teatro è la ricerca della verità attraverso la verosimiglianza, il tentativo di riprodurre certe cose che fanno parte della vita. Il teatro non è falso, è finto. C’è una differenza enorme tra questi due concetti.
Peter Brook alla domanda che cos’è il teatro rispose: “uno spazio, una persona che lo attraversa e un occhio che guarda”.
Il teatro è dappertutto, è nella vita di tutti i giorni.
E come si diventa attori?
Attori innanzitutto si è, ma poi non basta l’istinto, che, per esempio, noi napoletani spesso abbiamo naturale, serve tecnica e osservazione. Essere attori è un processo molto lungo e complesso, che non si conclude mai, è un mestiere che coincide con la vita.
Il principio del teatro è rubare. Ai miei studenti dico sempre “ragazzi, dovete rubare, dalla strada e da chi è più bravo di voi.” Non si diventa attori senza esperienza di vita.