Il mondo dei contenuti editoriali e dell’intrattenimento per ragazzi è vario e assume sempre nuove sfaccettature, i device che i nostri figli imparano a utilizzare sin da piccolissimi sono davvero molti di più di quelli che la generazione dei Millennials o le precedenti si sarebbero mai potute aspettare, eppure esistono delle costanti, delle emozioni, degli interessi che non vengono scalfiti dal tempo. La vera sfida è intercettarli e proporli in modo nuovo, riuscendo ad attirare l’attenzione delle generazioni più giovani.
Ne abbiamo parlato con una professionista che ha passato una vita a interessarsi di queste tematiche con grande successo: Valentina de Poli, giornalista, podcaster, comunicatrice che è stata direttrice del magazine per ragazzi per antonomasia, Topolino, dal 2007 al 2018, e ha scritto recentemente un libro partendo proprio da quella esperienza “Un’educazione paperopolese” (Il Saggiatore).
Valentina tu sei stata a lungo parte di una redazione in cui tantissimi (ex)bambini hanno sognato di entrare a lungo, ma hai fatto anche molte altre cose, ti va di raccontarci qualcosa?
Sì, in molti si ricordano di me come la direttrice di Topolino, ma la verità è che ho fatto molte cose nel mondo dell’editoria ed è sempre stato difficile definirmi. La mia formazione di base è, appunto, quella di giornalista, sono diventata professionista nel 1993, quando ancora il mondo delle professioni umanistiche era più lineare: studiavi per una cosa, imparavi un mestiere e potevi farlo.
Nella redazione di Topolino sono entrata per la prima volta quando non avevo ancora vent’anni. Avevo il culto dei giornali, soprattutto dei magazine, in casa il quotidiano era sempre presente.
All’inizio non ho vissuto Topolino come un vero magazine, non mi sembrava che “lì dietro” potesse esserci un lavoro vero. Su quelle pagine avevo tanto sognato e, come molti avevo imparato a leggere. Ma lavorarci mi ha appassionata sin da subito, stavo in redazione anche 10/12 ore al giorno, lì ho imparato tantissimo da fare gli ordini di pagamento, a organizzare un meeting, a lavorare con le agenzie fotografiche, fino al lavoro di relazione con il pubblico attraverso la scrittura, da qui la scelta di diventare giornalista.
Avevo iniziato a studiare al DAMS con l’idea di entrare in un’agenzia pubblicitaria, poi ho capito che avevo più cose da esprimere in ambito editoriale, restando aperta alla curiosità, senza dovermi riferire a un cliente.
Dal 2007 al 2018 sono stata direttrice di Topolino dopo una serie di “deviazioni sul percorso”, ed è stato come tornare a casa, alle origini.
Fino al 2013 il giornale era edito direttamente da Walt Disney Italia dove ho avuto modo di confrontarmi con tutte le funzioni di una multinazionale dell’intrattenimento.
Diventata libera professionista nel 2018 ho fatto tesoro di tutto quello che avevo sperimentato e vissuto e ho iniziato a diversificare la mia esperienza: podcasting, social, progetti educativi e ho realizzato quel sogno di ragazza cominciando a collaborare con le agenzie di comunicazione.
Mi sono accorta così che durante la mia esperienza trentennale che per la natura stessa del mio lavoro mi costringeva a seguire i cambiamenti sociali, a rimanere aggiornata insomma, in tutta naturalezza le mie competenze verticali si erano sempre più allargate, si erano lasciate “contaminare”. Per fortuna. Perché oggi chi fa contenuti deve per forza avere una gamma di skills più ampia rispetto al passato, lavorare nel mondo della comunicazione richiede competenze interdisciplinari – primo tra tutti: da giornalista della carta stampata a inizio del nuovo millennio non ho potuto esimermi dalla pratica digitale: con Topolino ho progettato siti e app, giusto per fare un esempio. Avrei potuto delegare ad altri: ma se fai contenuti... è praticamente impossibile non sfruttare tutto ciò che il mondo della comunicazione mette a disposizione.
Mi piace il mio nuovo lavoro perché sto esplorando anche molti territori che prima avevo solo sfiorato, oggi ho modo di approfondirli (sono letteralmente affascinata dal mondo dei content creator e dalla libertà dei trentenni di potersi costruire un lavoro su misura!) ma confesso che mi manca molto lavorare per i bambini e i ragazzi che, prima, erano i miei primi “committenti”, e di conseguenza arrivavo alle famiglie, ma loro erano le persone a cui dovevo far riferimento, per i quali dovevo studiare contenuti e format coinvolgenti, per farlo sentire protagonisti.
Tu che lo hai vissuto così da vicino, sai raccontarci cosa è successo al mondo dell’editoria per ragazzi e dell’intrattenimento per i più piccoli, cosa è cambiato, come sta evolvendo?
Se parliamo di giornali per ragazzi, come quelli su cui ci siamo formati fino all’avvento dell’era digitale, dobbiamo subito mettere in chiaro una cosa: ai bambini di oggi non hanno più l’idea istintiva di sfogliare un magazine, per loro quel tipo di contenuto è fruibile dallo smartphone o dal tablet. Ciò non vuol dire che rifiutano la carta, e la ricchezza di proposta dell’editoria libraria per ragazzi ne è la prova.
Recentemente ho incontrato, con sorpresa, alcuni giovanissimi, parlo di ragazzi di 10/11 anni, alle diverse presentazioni del mio libro (“Un’educazione paperopolese – Dizionario sentimentale della nostra infanzia”, Il Saggiatore) e ho scoperto che ormai chiamano Topolino “il libro”... Non hanno proprio il concetto di giornale che si sfoglia e di cui si aspetta religiosamente l’uscita ogni mercoledì in edicola. E poi, la costa brossurata del Topo non aiuta! Fa subito libro, appunto. Ma il giornale non sta nel loro immaginario, a meno che non li accompagni a scoprirlo...
Attualmente circa tre quarti dei lettori di Topolino sono adulti nostalgici che, ogni tanto, si concedono il piacere di rituffarsi tra le pagine che gli ricordano la propria infanzia. Probabilmente i ricordi dell’infanzia dei bambini di oggi tra trent’anni saranno legati a qualche serie tv o a una passione infinita per un videogioco, ma non c’è niente di male. Quando ero direttrice di Topolino mi sono resa conto che ciò di cui non puoi assolutamente fare a meno oggi è il coinvolgimento: i ragazzi di oggi vogliono essere chiamati in causa, poter realizzare delle piccole “missioni” in cui si sentono protagonisti, essere loro a dare forma ai contenuti e partecipare direttamente, senza filtri con chi li propone. Da qui il grande successo degli influencer sul target dei giovanissimi.
Lavorare con quel target di età è entusiasmante, ma bisogna impegnarsi moltissimo, capire bene i mezzi e non calare i contenuti dall’alto perché “io sono adulto e tu sei bambino e quindi va bene così, perché io ci sono passato prima di te”. Non è più così, anche perché la velocità mentale e di fruizione dei mezzi dei bambini noi ce la sogniamo! E allora meglio averli complici, no? Loro danno qualcosa a noi, noi diamo a loro... È uno scambio di esperienze (anche solo per l’energia vitale che ti rimandano quando interagiscono con noi, impagabile e indispensabile per guardare avanti, antidoto al ripiegamento su noi stessi). Esistono esperienze e fenomeni, come “Il Diario di una schiappa”, che sono riuscite a entrare perfettamente in sintonia con quella fascia di lettori, a sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda corretta facendo leva su temi universali e senza tempo ma calati nella contemporaneità senza forzature. D’altra parte, in questo i Millennials e la Generazione Z, i nati con gli smartphone in mano, potranno sicuramente dire la loro, hanno una dimestichezza con questo tipo di comunicazione che noi più grandicelli, i 50enni, non avremo mai.
A proposito di nuovi mezzi di comunicazione, tu lavori anche con i podcast, cosa puoi dirci di questo mondo?
Il podcast per me è un mezzo in cui posso mettere tutto quello che ho imparato: c’è una parte di scrittura, di reportage, di giornalismo, di pianificazione editoriale a breve e lunga distanza. E poi ci sono la relazione con il pubblico, qui più intima che mai, e la divulgazione digitale.
Per quanto riguarda il mercato faccio fatica a capirlo, forse è ancora presto per fare bilanci. Sicuramente in questo momento c’è una specie di sovraffollamento, forse troppe molte esperienze diverse, serve ancora tempo per capire dove si andrà e quali saranno le evoluzioni. Quello che si può dire è che senza dubbio il podcast ha aggiunto qualcosa al mondo della comunicazione.
Credo che i contributi di maggior valore siano quelli dove si intuisce la sincerità delle intenzioni in quello che si racconta, non solo per il racconto personale, ma anche nel branded podcast: la passione per un tema, l’approfondimento e la competenza, a cui aggiungere un’innata voglia di raccontare con generosità, fanno la differenza.